Il dilemma dell’onnivoro

Il dilemma cui fa riferimento il titolo è al centro di un bel libro di Michael Pollan, uscito in Italia più di dieci anni fa e che ebbe grande diffusione perché affrontava il problema di fondo del nostro sistema alimentare: le sue conseguenze sulla nostra salute e su quella del pianeta. Un dilemma che, nel nostro piccolo, abbiamo dovuto affrontare anche noi e che ci ha portato sì ad introdurre in Bottega carne, pesce e salumi, ma secondo criteri molto precisi: prodotti base, di filiera corta o cortissima e a produzione naturale.

Perché questa scelta? Proviamo a riassumerne brevemente le ragioni, che sono tante, tutte importanti e tutte da approfondire, perché l’alimentazione – soprattutto quella a base di carne – è responsabile di molti problemi, per noi e per il pianeta. Infatti, se è vero che le proteine animali sono presenti nell’alimentazione umana da moltissimo tempo è anche vero che sino a tempi molto recenti i prodotti di origine animale, a parte il latte, hanno sempre rappresentato un consumo occasionale, un lusso: erano il cibo della festa, dei pranzi importanti, il peccato di gola dei ricchi che, ovviamente, pagavano i loro eccessi con la gotta. Forse non lo sapete ma in Europa, almeno fino alla metà dell’800, i bovini erano per lo più allevati per il traino agricolo e solo l’urbanizzazione fece sì che, con l’inizio del ’900, l’allevamento per l’alimentazione (latte e carne) arrivasse a valere per circa la metà dell’intera produzione agricola.

I poveri comunque continuavano a mangiare per lo più legumi (la famosa dieta mediterranea) e solo con il secondo dopoguerra la carne è diventata un consumo “di massa”, grazie al boom economico e alla diffusione del potere d’acquisto nella classe operaia. I baby boomers (i nati tra il 1946 e il 1964) sono stati cresciuti con il mito della fettina e, secondo la FAO, tra il 1970 e il 1990 il consumo mondiale di carne è cresciuto del 50%, anche grazie all’abbattimento dei costi legati all’allevamento industriale e, soprattutto, ai sussidi statali.

Quello che è accaduto in Italia lo potete vedere bene dal grafico qui a fianco – che analizza i consumi pro capite degli ultimi 150 anni – un aumento non è diverso da quello registrato negli altri paesi occidentali. Cui si è inoltre affiancata negli ultimi vent’anni la diffusione dell’uso della carne carne rossa in paesi come Cina e India, che hanno enormi potenziali di consumo (e quindi di ulteriore impatto ambientale).

Se vi interessa approfondire come si sono evolute le abitudini alimentari con l’industrializzazione potete leggere il Rapporto Coop Un secolo d’Italia e questo articolo che ricostruisce nel dettaglio come è cambiato nel tempo – purtroppo in peggio –  il nostro modo di mangiare. Inoltre potete anche guardare questo documentario, recentemente realizzato da RAI3.

Da tempo ci troviamo di fronte a una sorta di paradosso del cibo e se i più poveri temono ancora la fame, nei paesi cosiddetti sviluppati si soffre di troppa abbondanza e il consumo eccessivo di carne porta a un maggior rischio di patologie quali cardiopatie, diabete e alcuni tipi di tumori.

Ma perché la carne è così dannosa? Per tanti motivi, primo fra tutti il fatto che oggi sul pianeta ci sono costantemente 25 miliardi di animali d’allevamento (circa 70 miliardi è il numero di quelli uccisi nel corso di un anno). Sono polli, maiali, bovini, ovini, conigli, tacchini cresciuti prevalentemente nei cosiddetti allevamenti intensivi. Gli animali, ammassati a migliaia in enormi capannoni e recinti, non vengono nutriti con erba o fieno ma con cereali e soia (spesso OGM), che ne accelerano l’aumento di peso. Questo porta a un dominio dalle monocolture per la produzione di mangimi, che rendono gli ecosistemi meno resilienti perché ne distruggono la biodiversità e richiedono metodi di coltivazione basati sull’uso di pesticidi e fertilizzanti di origine fossile. Insomma, l’agricoltura legata alla produzione della carne ha effetti ambientali devastanti.

Inoltre, a causa di come sono nutriti e delle cattive condizioni igieniche e di vita la maggior parte di questi animali, in particolare i bovini, ha gravi problemi di salute tenuti sotto controllo con gli antibiotici. Sostanze usate anche per accelerarne la crescita, in un uso smodato che ha determinato fenomeni di antibiotico-resistenza che stiamo già sperimentando sulla nostra salute.

Insomma, da qualsiasi parte lo si prenda il problema dell’iperconsumo di carne è una questione complessa e preoccupante: dobbiamo pensare seriamente come, da consumatori, si possa modificare i nostri consumi alimentari e fare scelte più giuste per l’ambiente, per la nostra salute e per una più equa distribuzione delle risorse.

Questo ci porta ad un altro aspetto del problema, quello economico: qual è il prezzo giusto della carne? A questo prova a rispondere uno studio di SlowFood che analizza i costi nascosti della carne, cioè le esternalità negative, innanzitutto economiche, che non paghiamo direttamente facendo la spesa ma in altre modalità.

Insomma, anche da questi pochi cenni ci sembra di poter dire che il dilemma dell’onnivoro possa avere una sola risposta: carne sì, se si vuole, ma meno, meglio e più vicino!

Un progetto di arance e solidarietà dalla Calabria al Rojava

“Vogliamo partire dalla Terra e dall’autodeterminazione di chi la lavora. Vogliamo farlo rispettando la natura e l’ambiente e in modo collettivo, perché lavorare insieme è il modo migliore per consolidare rapporti umani veri e profondi, fondati su rispetto, reciprocità e dignità”

SOS Rosarno ha una ormai lunga storia alle spalle: da anni lavora nella piana di Gioia Tauro, la parte più povera d’Italia in cui crescono disoccupazione ed emigrazione e, contemporaneamente, affluiscono migliaia di persone dall’Africa e dell’Est. Perché l’agroindustria alimentare ha fame di chi è clandestino e trova nel lavoro nero l’unica possibilità di sopravvivenza. La cooperativa è partita così, mettendo insieme i piccoli contadini (i deboli di sempre) con i nuovi deboli dell’economia globale perché scoprano che insieme  si può rispondere alla sofferenza costruendo speranza e opportunità.

Un impegno di anni, eppure il loro giro economico è ancora molto piccolo e, quindi, la capacità di incidere sul territorio: lo scorso anno, a fronte di 2 milioni di kg di arance e clementine bio prodotti nella zona, con il loro fatturato (230 mila chili) hanno assorbito solo l’8-10% del prodotto disponibile. Numeri magari sufficienti per sostenere la cooperativa ma troppo piccoli costruire un’alternativa reale.

In questo momento, poi, la situazione è più complicata: i magazzini sono fermi e i buyers della grande distribuzione vanno dove il costo della manodopera, e gli standard qualitativi, sono più bassi. In Marocco, che è il primo produttore al mondo di clementine, la manodopera legalizzata costa da 5 a 10 euro al giorno e dal porto di Tangeri partono container per tutti quei paesi dell’est che una volta si approvvigionavano esclusivamente dalla Calabria e dal sud della Basilicata. Le clementine sulle piante però non possono rimanere e, se non ci sono altri sbocchi, l’unica strada è svendere all’industria alimentare. Che le paga 3 cent/kg, quando produrle 1costa da 15 a 25 cent/kg e la raccolta, a 55 € al giorno a lavoratore, incide per altri 13/kg.

“Però quando la cooperativa a cui commissioniamo la lavorazione e grazie alla quale esistiamo ci dice che senza Sos Rosarno avrebbero già chiuso, se il sostegno aumenta di anno in anno, se riusciamo a creare più sinergie, a fare sempre la nostra parte, significa che facciamo bene a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, che stiamo lavorando bene e siamo sulla strada giusta.”

Da poco hanno anche avviato la campagna “Arance SOS Rosarno 2021” per sostenere la sanità della Siria del nord est: arance, limoni e clementine biologiche vendute per finanziare il progetto di solidarietà per il Rojava assediato e sostenerne il sistema sanitario. Dopo l’invasione da parte della Turchia dell’ottobre 2019, c’è una sempre più grave emergenza umanitaria. L’autogoverno del Rojava – un progetto di confederalismo democratico ispirato ai principi dell’ecologia sociale, del femminismo, della multiculturalità e dell’economia solidale – paga infatti l’ostilità e l’embargo della Turchia e dell’Iraq: uno scenario difficile e incerto con cui si misura un progetto di democrazia diretta che, mentre deve ancora difendersi dall’Isis, deve assicurare condizioni di vita accettabili e la ricostruzione di un sistema sanitario adeguato alle esigenze di una popolazione già stremata da una lunga guerra.

Insomma, per SOS Rosarno il progetto economico, quello sociale e quello politico sono strettamente intrecciati: per conoscerli meglio basta andare sul sito della cooperativa “Mani e Terra” sosrosarno.orgfacebook.sos-rosarno

Iris, una pasta davvero buona, e per molte ragioni

La pasta biologica Iris è prodotta curando tutta la filiera. E non è una scelta casuale, perché dietro la scelta di diventare produttori di pasta c’è una storia decennale.

Iris nasce infatti nel 1978 da un gruppo di giovani che avevano scelto cooperazione e agricoltura biologica e come strumenti di un progetto che aveva come fine il rispetto della natura e dell’uomo.

Nel 1984 diventa cooperativa agricola di produzione e lavoro, una proprietà collettiva che vive il lavoro come mezzo di emancipazione (in particolare femminile e delle persone svantaggiate), sviluppa le relazioni con chi compra e recupera e valorizza la cultura contadina.

La Filiera Iris

Con lo stesso spirito nel 2005 Iris inizia a produrre pasta biologica, curando tutta la filiera, a partire dalla materia prima. Perché per Iris la produzione industriale è uno strumento per sostenere la buona agricoltura, quella che rispetta l’uomo e l’ambiente.

Gli agricoltori della Filiera possono diventare soci della Cooperativa che stipula con tutti i suoi fornitori un contratto che garantisce un prezzo di acquisto più alto di quello medio di mercato. L’accordo prevede il rispetto delle normative biologiche e un programma di coltivazione studiato per ottenere un prodotto di alta qualità (sia organolettica che igienico sanitaria). Per gli agricoltori soci della Cooperativa è stato anche fattoc’è un accordo con Banca Etica, che riconosce loro finanziamenti a condizioni di favore.

La fabbrica in bioediliza

Anche il pastificio è speciale, costruito e gestito secondo i criteri del bene comune: una proprietà collettiva, finanziata con le azioni solidali di persone che, come Iris,  credono nella relazione comunitaria, nel biologico e nella difesa dell’ambiente.

La costruzione è a minimo impatto ambientale, con legno, acciaio, vetro, canapa e formelle di argilla cotte in fornaci locali, mentre il cemento è usato solo nelle colonne portanti.

Lo stabilimento è alimentato da energia rinnovabile e il tetto è ricoperto di pannelli fotovoltaici che, con i giardini pensili, contribuiscono alla coibentazione.

Una pasta “naturale”

Come in agricoltura biologica si rispettano i ritmi della terra, anche nella produzione industriale si devono rispettare i tempi di lavorazione. La pasta Iris ha un’alta qualità nutritiva, perché l’essiccazione lenta e a bassa temperatura la stabilizza: così, aprendo il pacchetto, si “sente” il profumo della materia prima.

Ma la Cooperativa Iris è anche molto altro, fanno studi sulla produzione biologica, corsi nelle scuole sulla conoscenza della natura, hanno una fondazione e molti altri progetti.

Se volete conoscerli meglio basta andare sul loro sito.

Perché è importante mangiare verdure verdi?

Tipiche del primo autunno, le verdure verdi (cavolo verde e nero, bietole e spinaci, fagiolini e peperoni…) sono particolarmente importanti per il nostro benessere perché hanno tutte un alto profilo nutrizionale, oltre che un basso contenuto di calorie. Insomma, dovremmo arricchire tutti i nostri pasti con le verdure, ma la maggior parte di noi non arriva ai neppure ai 600g  al giorno raccomandati dai nutrizionisti. Davvero un peccato, perché oltre a fare bene, la verdura è buona!
Sostanze fitochimiche

“Fito” vuol dire pianta in greco, e i fitochimici sono i composti attivi presenti nelle piante, che ne determinano colore, odore e sapore. Il consumo di sostanze fitochimiche protegge le cellule del corpo e contribuisce a tenere sotto controllo colesterolo, ipertensione e diabete.

Fibra

Nota per il suo ruolo nella buona digestione, se ne raccomanda un consumo giornaliero di 38g per i maschi e 25g per le femmine. La fibra aiuta anche a mantenere un peso corretto.

Calcio

Oltre ad essere presente nel latte e nei prodotti lattiero-caseari, il calcio si trova anche nelle verdure a foglia verde. Importante per le ossa, questo minerale ha un ruolo nei sistemi muscolare, nervoso centrale e renale.

Folati

Le verdure verdi sono una fonte significativa di folati, una vitamina B essenziale.

Ferro

Anche le verdure a foglia verde, e non solo la carne, danno un apporto significativo di questo minerale. Il ferro è essenziale per ossigenare il sangue: la carenza di ferro può portare a  stanchezza, debolezza, pallore, unghie fragili, frequenti mal di testa, vertigini, perdita di appetito.

Magnesio

Essendo utilizzato in oltre 300 processi fisiologici, il magnesio è indispensabile per una buona salute: è fondamentale per la produzione di DNA e RNA e ha un ruolo nello sviluppo, nella crescita e nel mantenimento delle ossa.

Potassio

Il potassio, agendo sia da elettrolita che da minerale, insieme al sodio regola i ritmi cardiaci e la funzionalità  dei muscoli. La ricerca ha poi dimostrato che l’assunzione di potassio riduce il rischio di ictus, osteoporosi e calcoli renali.

Vitamina A

La vitamina A si trova non solo in quelli rossi, ma anche nei vegetali verdi: aiuta la vista, il sistema immunitario e la capacità riproduttiva.

Vitamina C

Non solo gli agrumi, ma anche le verdure verdi contengono vitamina C. Una vitamina dalle note proprietà antiossidanti, che rafforza il sistema immunitario e proteggere il le cellule del corpo.

Vitamina E

Anche la vitamina E è un potente antiossidante.

Vitamina K

La vitamina K serve alla coagulazione del sangue, inoltre alcuni studi suggeriscono che possa prevenire l’osteoporosi.

Come trattarle in cucina

Adesso che abbiamo appurato che fanno bene, come mangiare e far mangiare più verdure verdi? Preparate un’insalata, mescolatele ai frullati, arricchitele di salse, ma soprattutto provate nuove tecniche di cottura, che ne rispettino tutte le proprietà. Qui in Italia tendiamo a cuocerle e condirle troppo, così che ne nascondiamo il sapore e le impoveriamo delle sostanze che contengono. Per questo vi consigliamo, se non la conoscete, la tecnica di cottura che si chiama “nituké” tipica della cucina giapponese (qui potete vedere come si fa). Insomma, lo ripetiamo ancora una volta, le verdure verdi fanno bene: non fatele mai mancare dalla vostra tavola (vai ai prodotti…).